Se riflettiamo sulla storia della televisione, vediamo
che, nei suoi primi anni, essa era abbastanza buona. Non c' erano le cattive
cose che sono arrivate dopo, offriva buoni film e altre cose discrete. La
ragione di questo sta in parte nel fatto che all'inizio non c' era
competizione o, per lo meno, ce n'era molto poca e che anche la domanda non si
era ancora estesa. Perciò la produzione poteva essere più selettiva.
E'
interessante notare che cosa dicono a questo proposito coloro che producono tv.
In occasione di una lezione che ho tenuto in Germania non molti anni fa ho
incontrato il responsabile di una televisione, che era venuto ad ascoltarmi,
insieme ad alcuni collaboratori. Non ne faccio il nome per non personalizzare
il caso. Ebbi con lui una discussione durante la quale sostenne alcune orribili
tesi, nella cui verità egli naturalmente credeva. Diceva per esempio:
"Dobbiamo offrire alla gente quello che la gente vuole", come se si
potesse sapere quello che la gente vuole dalle statistiche sugli ascolti delle
trasmissioni. Quello che possiamo ricavare da lì sono soltanto indicazioni
circa le preferenze tra le produzioni che sono state offerte. (...)
Egli
credeva che le sue tesi fossero sostenute dalle "ragioni della
democrazia" e si riteneva costretto ad andare nella direzione che sentiva
come l'unica che lui era in grado di comprendere, nella direzione che
sosteneva essere "la più popolare". Ora, non c' è nulla nella
democrazia che giustifichi le tesi di quel capo della tv, secondo il quale il
fatto di offrire trasmissioni a livelli sempre peggiori dal punto di vista
educativo corrispondeva ai principi della democrazia "perché la gente lo
vuole". Ma in questo modo saremo costretti ad andare tutti al diavolo!
Nella democrazia, come ho sostenuto altre volte, non c'è nient' altro che un
principio di difesa dalla dittatura, ma non c' è neppure nulla che dica, per
esempio, che la gente che dispone di più conoscenza non debba offrirne a chi ne
ha di meno. Al contrario la democrazia ha sempre inteso far crescere il livello
dell' educazione; è questa, una sua vecchia, tradizionale aspirazione. Le idee
di quel signore non corrispondono per niente all'idea di democrazia, che è
stata ed è quella di far crescere l' educazione generale offrendo a tutti
opportunità sempre migliori. Invece i principi che lui mi ha illustrato hanno
come conseguenza che si offrono all'audience livelli di produzione sempre
peggiori e che l' audience li accetta purché ci si metta sopra del pepe, delle
spezie, dei sapori forti, che sono per lo più rappresentati dalla violenza, dal
sesso e dal sensazionalismo.
Il fatto è che più si impiega questo genere di
spezie più si educa la gente a richiederne. E dal momento che questo tipo di
intervento è il più facile a capirsi da parte dei produttori e quello che
produce una più facile reazione da parte dell' audience, si determina una
situazione per cui si smette di pensare a interventi più difficili. Basta
prendere la scatola del pepe e metterlo nelle trasmissioni. Così un
responsabile televisivo può pensare che il problema sia risolto. E questo è
quello che è accaduto anno dopo anno da quando la televisione è partita: spezie
più forti sul cibo preparato perché il cibo è cattivo e con più sale e più pepe
si cerca di passar sopra anche a un sapore disgustoso. (...)
Otto anni fa, con
una lezione, avevo sostenuto la tesi che stiamo educando i nostri bambini alla
violenza e che se non facciamo qualcosa la situazione necessariamente si
deteriorerà perché le cose si muovono sempre nella direzione della minor
resistenza. In altre parole si va sempre dalla parte che risulta più facile,
quella in cui uno si aiuta a superare un problema riducendo le costrizioni del
lavoro. Quelle spezie di cui abbiamo parlato sono il mezzo che i produttori di
tv hanno più facilmente a disposizione per aiutarsi, sono il congegno
sperimentato che è sempre in grado di catturare l' audience. E se l' audience
se ne stanca, basta aumentare le dosi. Si tratta di un meccanismo che
probabilmente ripartirebbe anche qualora si spingesse la situazione indietro.
Non conosco la televisione italiana, ma è così in Gran Bretagna ed anche in
America. C' è ormai un discreto numero di casi in cui responsabili di atti
criminali hanno ammesso di aver ricevuto ispirazione per i loro crimini dalla
televisione. Ed è stato clamoroso il caso di due ragazzi, di dieci anni e
mezzo, che a Liverpool hanno rapito e ucciso senza alcun motivo un bambino di
due anni nel febbraio del 1993. Il fatto determinò un grandissimo interesse e
allarme: si trattava di un tipo di depravazione di cui difficilmente si
potevano trovare dei precedenti. Si è molto discusso collegando quell'episodio
anche alla televisione, ma sono venuti diversi esperti a sostenere che,
psicologicamente, era un errore fare quel collegamento. (...)
Nel rapporto tra
bambini e televisione noi ci troviamo di fronte a un problema evolutivo: i
bambini vengono a questo mondo strutturati per un compito, quello di adattarsi
al loro ambiente. Per quanto ne so io, questa formulazione, molto semplice, non
era stata finora portata dentro la discussione sul problema della tv. In altre
parole, nel loro intero equipaggiamento per la vita, i bambini sono attrezzati
in modo da potersi adattare ai diversi ambienti che troveranno intorno a loro.
Essi sono perciò dipendenti, in misura considerevole, nella loro evoluzione
mentale dal loro ambiente e ciò che chiamiamo educazione è qualcosa che
influenza questo ambiente in un modo che giudichiamo buono per lo sviluppo di
questi bambini. (...)
Adesso la violenza in casa è sostituita ed estesa dalla
violenza che appare sullo schermo televisivo. E' attraverso questo mezzo che
essa viene messa davanti ai bambini per ore ogni giorno. La mia esperienza mi
porta a considerare questo punto molto importante, direi decisivo. La televisione
produce violenza e la porta in case dove altrimenti violenza non ci sarebbe.
(...)
Illustrerò allora brevemente la mia proposta, per la quale ho adottato il
modello fornito dai medici e dalla forma di controllo generalmente istituita
per la loro disciplina. (...) Chiunque sia collegato alla produzione televisiva
deve avere una patente, una licenza, un brevetto, che gli possa essere ritirato
a vita qualora agisca in contrasto con certi principi. Questa è la via
attraverso la quale io vorrei che si introducesse finalmente una disciplina in
questo campo. Chiunque faccia televisione deve necessariamente essere
organizzato, deve avere una patente. E chiunque faccia qualcosa che non avrebbe
dovuto fare secondo le regole dell' organizzazione, e sulla base del giudizio
dell' organizzazione, può perdere questa patente. L' organismo che avrà la
facoltà di ritirare la patente sarà una sorta di Corte. (...) Questa
supervisione costante è qualcosa di molto più efficace della censura, anche
perché la patente, nella mia proposta, deve essere concessa solo dopo un corso
di addestramento al termine del quale ci sarà un esame. (...) La democrazia
consiste nel mettere sotto controllo il potere politico. Non ci dovrebbe essere
alcun potere politico incontrollato in una democrazia. Ora, è accaduto che
questa televisione sia diventata un potere politico colossale, potenzialmente
si potrebbe dire anche il più importante di tutti, come se fosse Dio stesso che
parla. E così sarà se continueremo a consentirne l' abuso. (...) Una democrazia
non può esistere se non si mette sotto controllo la televisione, o più
precisamente non può esistere a lungo fino a quando il potere della televisione
non sarà stato pienamente scoperto. Dico così perché anche i nemici della
democrazia non sono ancora del tutto consapevoli del potere della televisione.
Ma quando si saranno resi conto fino in fondo di quello che possono fare la
useranno in tutti i modi, anche nelle situazioni più pericolose. Ma allora sarà
troppo tardi (...).
di Karl Popper da Repubblica 17 settembre 1994
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