PARIGI - Mentre varco il portone della casa parigina di
Julia Kristeva, il pensiero subito va alla femminista ultrabattagliera, alla
giovane redattrice della rivista d'avanguardia Tel Quel, alla inquieta
psicanalista e studiosa di semiotica amica di Foucault, Barthes, Derrida... E
poi mi trovo di fronte una bella signora settantenne che, senza rinnegare
affatto quei trascorsi, sta percorrendo itinerari che si sono arricchiti di
nuove sfumature.
"La nostra eredità culturale è doppia. Da un lato il
cristianesimo, dall'altro l'illuminismo, rottura irreversibile della
civilizzazione europea. Tanto più qui in Francia: patria della rivoluzione
francese e dei diritti dell'uomo. Nel momento in cui la nozione di peccato
perde senso per la parte secolarizzata della popolazione, resta la grande
preoccupazione sul significato dell'etica laica. Ebene lo dimostra il dilemma
dell'attuale governo francese, che si chiede se sia giusto insegnare una morale
laica o propendere piuttosto per un insegnamento laico della morale. Perché un
sistema di regole preconfezionato che vada bene per tutti ormai è impensabile.
Si tratta allora di riconoscere la specificità della vita interiore di ciascuno
e conseguentemente trovare la versione singolare, personale, di tali
regole".
Dunque, a suo modo di
vedere, l'idea di limite può essere salvaguardata solo grazie a un incrocio tra
la tradizione religiosa e la modernità laica.
"Assolutamente.
Il nuovo umanesimo passa attraverso una rivalutazione permanente di tutti i
codici morali dell'umanità, ivi compreso quello della religione che ci precede.
Quell'eredità non può essere lasciata in mano al Fronte nazionale o alle varie
forme di integralismo. È necessario che nelle scuole si insegni storia della
religione, per incamminarsi non verso un sistema di regole assolute, ma verso
un'interrogazione ininterrotta della tradizione. Interrogazione che deve valere
anche per i lasciti della rivoluzione dei Lumi. Quella stagione ha prodotto una
nuova libertà, fino ad allora impensabile: sia del pensiero che del corpo,
contro i differenti dogmatismi religiosi e di classe. Ma abbiamo potuto
saggiare anche i rischi iscritti in tale libertà. Penso agli esiti di una
liberazione borghese sfociata prima nel terrore e poi nel colonialismo; di un
terzomondismo che spesso ha aperto le porte al fondamentalismo religioso. E
penso anche a un femminismo su grande scala, quanto mai generoso, ma incapace
di affrontare tante esigenze singolari, a cominciare dall'esperienza della
maternità.
Nietzsche dice che
bisogna mettere un grande punto interrogativo su tutte le questioni più serie
che abbiamo di fronte. Per venire a noi: cos'è il peccato? Cosa la
trasgressione? Cosa la negazione della norma? Cosa la rivolta? Così come
bisogna tornare a interrogarsi sull'idea di autorità".
Proprio questo è il
punto. Chi oggi ha l'autorità per stabilire il limite oltre il quale non si può
andare?
"Io non sono così
sicura che il concetto di limite vada scomparendo. Le faccio un esempio
concreto che riguarda proprio la figura dell'autorità. Viviamo in una sorta di
entusiasmo romantico legato all'enorme sviluppo della scienza medica, in base
al quale, ad esempio, la vecchia figura del padre sembra non essere più
indispensabile. Bene. Ciò non toglie che un bambino, per crescere, ha comunque
bisogno di separarsi passionalmente e sensorialmente dalla madre. E perché
questo accada deve intervenire un'autorità che gli ponga dei limiti. Tale ruolo
potrà essere giocato, che so io, dal padre genetico, dal nonno materno, da un
istitutore... o da uno psicanalista, se quel bambino non apprende l'idea del
limite. Per certo però quel passaggio non potrà essere eluso. Perché proprio
noi, eredi dell'illuminismo e delle scienze umane, sappiamo bene che una
persona, per diventare adulta, ha bisogno di essere "strutturata",
dunque di appoggiarsi a una norma. Non per ottemperare ai voleri di una chiesa
o di qualunque forma di confessionalismo, ma per una necessità psichica.
L'autorità a cui penso sarà fondata su un sapere plurale e su diverse forme
di esperienza, quindi capace di adattarsi a ciascun individuo".
Forse per noi laici
europei tutto si complica a causa del fondamento religioso della morale.
Diverso è il caso di quelle società orientali che hanno autonomi fondamenti
laici: penso al confucianesimo.
"Non sono così
sicura che il mix dell'eredità greco-giudaico-cristiana combinata
all'illuminismo ci renda più impotenti rispetto ad altre situazioni. Al
contrario, penso che in questo crogiolo siano iscritte potenzialità di cui non
andiamo abbastanza fieri. Se l'Europa è così in crisi e al fondo depressa è
perché non ha utilizzato la carta migliore a disposizione: la cultura. Già Duns
Scoto, nel XIII secolo, parlava della verità come di qualcosa che non
appartiene né a categorie astratte né all'opacità della biologia, ma
all'haecceitas, al "questo". In ciascuno c'è un briciolo di
eccezione: e qui va cercata la verità. Eccolo il vero messaggio europeo,
estraneo sia alla cultura cinese che a quella araba. Vede, sin dal '68, dagli
anni del maoismo, sono in costante contatto con la cultura cinese. Una cultura
che grazie alla mescolanza di taoismo e confucianesimo ha prodotto una
straordinaria adattabilità al cosmo, alla natura, al flusso della vita; una
società in cui i migliori lasciti confuciani garantiscono il rispetto della
tradizione. Di fronte però all'esplosione della richiesta di diritti
individuali, sono loro a trovarsi in difficoltà. E a individuare nella cultura
europea il modello da seguire".
Se si incrina l'idea
di limite, finisce anche l'idea di trasgressione. A questo punto non perde di
senso anche il classico mito del Don Giovanni?
"Tutti sanno che
un certo femminismo, soprattutto americano, si è mobilitato contro l'uomo
seduttore, a cui tutto è permesso, e che si richiama per l'appunto al mito del
Don Giovanni. Per molti versi è stata ed è una battaglia assolutamente giusta,
come dimostrano ancora troppi casi in cui uomini di potere impongono il loro
desiderio alle donne con brutale aggressività. Ma due sono state le
conseguenze: da un lato, una crisi sempre più evidente della virilità, con
l'uomo occidentale che oscilla tra impotenza e violenza; dall'altro la
negazione della seduzione, elemento imprescindibiledell'erotismo".
In questo scenario,
quali sono le nuove "malattie dell'anima", per usare una sua espressione
di qualche anno fa?
"Quelle legate
all'indebolimento della famiglia, della scuola, in genere dei luoghi di
integrazione. Senza contare il ruolo crescente dell'immagine, che rimpiazza il
linguaggio e rende l'uomo parlante sempre meno parlante. Mentre il sistema di
comunicazione copre ormai l'intero campo visivo sotto un'immensa tela di
superficie, a scapito della profondità, del foro interiore. È in questo vuoto
crescente, in quella condizione di disadattamento definita in termini
psicanalitici "de-liaison", che si inserisce con successo ogni forma
di integralismo, attraverso una sorta di capitalizzazione delle pulsioni di
morte inviate ai ragazzi "malati di idealità". I quali non
riconoscono più non solo la differenza tra bene e male, ma anche quella tra
dentro e fuori, il sé e l'altro. A quel punto, anche il limite della morte
perde di senso".
Da una parte il
tradizionalismo religioso, dall'altra il nichilismo avanzante: non sembra
esserci tanto spazio per un nuovo umanesimo.
"Io penso invece
che quello spazio ci sia. Nell'epoca della globalizzazione, non si confrontano
soltanto diverse lingue e religioni, ma anche diverse morali. A noi il compito
di intessere una sorta di mantello d'Arlecchino, una specie di passerella
ideale tra i codici morali di ciascuno. L'umanità ormai non ci appare più come
un universo, ma come un multiverso, e mi appoggio in questo all'astrofisica e
alla teoria della proliferazione degli universi possibili. Ecco perché parlo
del mantello d'Arlecchino come di una nuova veste sociale e normativa, a cui
deve concorrere la stessa rilettura della tradizione e la sua concezione di
limite. A conclusione della sua Critica della ragion pura, Kant intravede la
possibilità di un corpus mysticum di esseri razionali, in cui l'Io e il suo libero
arbitrio si riuniscono con il totalmente altro da sé. È molto di più che il
richiamo all'usurato concetto di solidarietà. È un incitamento a entrare in
contatto con l'estraneo, a comprenderlo, salvaguardando la sua singolarità, la
sua eccezione. Per riuscirci, occorre creare una nuova classe di pionieri
dell'umanesimo, disposti a combattere la battaglia di una inesausta
negoziazione tra differenze".
da Repubblica 07 settembre 2013
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